“Oggi
abbiamo depositato un’interpellanza urgente al Governo per sapere perché, dopo ripetuti
pronunciamenti favorevoli del Parlamento e trascorsi diversi mesi, l’Italia non
abbia ancora firmato la “Convenzione del Consiglio d'Europa sulla
prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e alla violenza domestica”.
Si tratta di un primo, importante strumento internazionale
giuridicamente vincolante per garantire una protezione alle donne contro
qualsiasi forma di violenza, che introduce misure concrete di prevenzione, di
tutela in sede giudiziaria, di sostegno alle vittime.
La Convenzione è già stata firmata da 21 tra i principali paesi europei, tra cui Germania, Francia,
Gran Bretagna, Spagna, Austria, Svezia, Finlandia, Norvegia, Grecia,
Portogallo, Turchia.
Si tratta di uno strumento ancora più utile
di fronte al crescere del numero di episodi di
violenza contro le donne in Italia e in Europa, che delineano un dramma umano e sociale che spesso si consuma innanzitutto all’interno
dei nuclei familiari e che richiede iniziative urgenti di prevenzione e
di sostegno alle vittime.
Per questo ci auguriamo che il Governo italiano, in coerenza con gli
impegni già assunti in tal senso in sede parlamentare, sottoscriva con urgenza
la Convenzione europea contro la violenza sulle donne e consenta al Parlamento
di ratificarla e renderla esecutiva prima possibile”.
E’ quanto dichiara Federica
Mogherini (deputata, responsabile globalizzazione PD e membro dell’Assemblea
parlamentare del Consiglio d’Europa), prima firmataria dell’interpellanza urgente
sottoscritta anche da Deborah Bergamini (PDL), Paola Binetti (UDC), Giulia
Bongiorno (FLI), Massimo Polledri (Lega Nord) e da numerosi parlamentari del
Partito Democratico.
“Le notizie di
cronaca continuano a riproporre, ormai quotidianamente, l’emergenza della violenza
contro le donne nel nostro paese.
Lo confermano,
oltre ai nuovi drammatici episodi di questi giorni, anche i dati diffusi dalla
piattaforma CEDAW delle Nazioni Unite, secondo cui in Europa ogni giorno 7
donne vengono uccise dai loro partner.
In Italia, nel 2011 sono morte
127 donne (il 6,7% in più rispetto al 2010) e quest’anno fino a giugno si sono
già registrate 63 vittime.
Si deve affrontare con urgenza un
vero e proprio dramma sociale, che nasce e spesso si consuma innanzitutto
all’interno dei nuclei familiari, con strumenti concreti di sostegno alle
vittime (a partire dai centri di ascolto e antiviolenza) e con misure di
contrasto al disagio economico e alla marginalità sociale in cui maturano la
conflittualità nelle relazioni, la discriminazione e gli abusi sulle donne. Ma
soprattutto va combattuta una cultura diffusa di acquiescenza, di tolleranza e
di indifferenza verso ogni forma di violenza - fisica e psicologica – di cui
purtroppo sono ancora vittime le donne nel nostro Paese.
Per questo, si avverte ancora
di più l’urgenza che l’Italia aderisca alla Convenzione del Consiglio d'Europa
sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e alla violenza
domestica, firmata a Istanbul nel 2011.
Il Governo italiano è stato già
più volte sollecitato in questo senso dal Parlamento, con un invito che
vogliamo rinnovare, affinché anche il nostro Paese possa recepire - come già
avvenuto nei principali paesi europei – uno strumento giuridico internazionale
essenziale per proteggere le donne da qualsiasi forma di violenza, attraverso
misure di prevenzione, di tutela in sede giudiziaria, di sostegno alle vittime
che sono previste dalla Convenzione di Istanbul".
E’ quanto dichiara Federica
Mogherini, deputata, responsabile globalizzazione per il PD e membro
dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.
Il mio intervento di ieri in aula all'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, a Strasburgo, sulla crisi della democrazia in Europa:
2012 ORDINARY SESSION
PARLIAMENTARY ASSEMBLY OF THE COUNCIL OF EUROPE
________________________
(Third part)
REPORT
Twenty-third Sitting
Wednesday 27 June 2012 at 10 a.m.
3. Joint debate – Democracy at risk: the role of citizens and of the State today: (i) The crisis of democracy and the role of the state in today’s Europe; (ii) The portrayal of migrants and refugees during election campaigns
Ms MOGHERINI REBESANI (Italy) – All around Europe, there are two paradoxes facing our democracies. On the one side, globalisation and the financial crisis have unveiled the urgent and absolute need for global political action. A couple of decades ago, we used to say that we should think globally and act locally. It is now clear to everybody that this is not enough: we have to think globally but act locally and globally as well. We need global levels of institutional co-operation and global political actors – although I should say that civil society, youth movements and international non-governmental organisations sometimes seem far more ready to act in this way than political parties. On the other side of the paradox, opinion polls and electoral trends show that people seem to be afraid of delegating national sovereignty – look at the European Union debate. There has also been an increase in populist discourse and localist movements, yet often, those citizens who declare that globalisation is the context in which politics should take place are the same ones who vote for localist parties or movements.
In these times of economic crisis, we are facing conditions where political leaders and parties know exactly what should be done. Let us take the example of immigration. We all know very well that immigration is not only unstoppable but necessary, if we want our economies and welfare systems to be sustainable. On the other side, we have to win elections, and sometimes long-term and global thinking is compromised by the short-term electoral message. This is the second paradox that we are facing in our democracies. I will put it in a brutal way: has democracy become part of the problem rather than part of the solution? This is the implication when you look at Greece – or, sometimes, at Italy. Our elections are a time of problems rather than a time of participation.
The answer is to open up participation. On the one side, we need a different kind of participation – earlier, someone talked about horizontal or interactive participation – but on the other side, we need to exercise responsibility, as was mentioned just now. Electorates ask political parties to take responsibility, speak the truth and deliver results. This is what we have to do. The only solution is transparency in politics and institutions, and opening up political parties, making them effective and efficient instruments for participation, at the service of their communities and countries through delivering results. Only in this way will we save our democracies from these paradoxes.
“L’impegno assunto oggi a conclusione
del vertice di Roma tra Italia, Germania, Francia e Spagna per l’introduzione
in Europa di una tassa sulle transazioni finanziarie – da attivare, anche in
assenza dell’unanimità di consenso tra i paesi UE, attraverso la procedura di
una cooperazione rafforzata – rappresenta un segnale di novità politica molto significativo.
Non vi è dubbio che dal Consiglio europeo
del 28 e 29 giugno ci si attende una svolta politica più generale – di cui in
realtà si rintracciano ancora segnali troppo timidi e contraddittori – con una
strategia continentale per la crescita e la creazione di nuova occupazione; con
passi concreti verso un più stretto coordinamento finanziario e l’attivazione
di strumenti di garanzia del sistema creditizio a livello comunitario; con la
messa in sicurezza dei bilanci pubblici dei paesi UE attraverso strumenti di
mutualizzazione (almeno parziale) dei debiti sovrani – se non con gli Eurobond,
almeno col Fondo di Redenzione -; con la definizione di una road map per l’integrazione
e l’unione politica europea.
Ma, in questo quadro, la decisione di
rilanciare oggi da Roma la proposta di tassare le transazioni finanziarie
rappresenta una scelta politica comunque impegnativa, con cui si indica uno
strumento concreto – di certo non l’unico, ma sicuramente significativo
– per uscire da una crisi economica europea e internazionale, iniziando a
regolare la finanza globale e le sue degenerazioni, contrastando la
speculazione internazionale e raccogliendo risorse da destinare agli investimenti
per l’occupazione e per la crescita.
Ora ci attendiamo coerenza e determinazione da
parte dei 4 governi europei che oggi si sono ritrovati a Roma nel voler
tradurre la proposta di tassa sulle transazioni finanziarie in scelte concrete
e operative sin dal prossimo vertice europeo di fine mese.
Sarebbe una prima, importante risposta alla crisi
economica che ha investito in questi anni l’Europa, indicando come un altro
modello di sviluppo più sostenibile, un ruolo più sano della finanza in
rapporto con l’economia reale e col mondo produttivo, un’Europa dei diritti e
della partecipazione democratica siano obiettivi possibili, da costruire passo
dopo passo, con scelte innovative e coraggiose come questa”.
E’
quanto dichiara Federica Mogherini, deputata e responsabile globalizzazione PD.
“Oggi dal Parlamento Europeo giunge un segnale molto chiaro, coraggioso e saggio ai Capi di Stato e di Governo che si riuniranno stasera per il vertice informale del Consiglio europeo.
L’approvazione a larghissima maggioranza di una risoluzione per l’istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie con un'imposizione dello 0,1% per azioni e titoli e dello 0,01% per i derivati rappresenta un’indicazione precisa rivolta ai Governi europei, affinché l’agenda per la crescita a cui si sta lavorando preveda anche questo strumento di regolamentazione delle attività della finanza globale, consentendo di far pagare, almeno in parte, il costo economico e sociale della crisi internazionale a chi l’ha provocata con un’attività predatoria che in questi anni ha puntato a generare ricchezza dalla speculazione e non dagli investimenti sull’economia reale, sul lavoro e sulle attività produttive.
La risoluzione approvata dal Parlamento Europeo – di cui era relatrice per il gruppo Socialisti&Democratici la greca Anni Podimata – rappresenta un passo in avanti coraggioso perché sostiene la necessità di procedere comunque all’istituzione della tassa sulle transazioni finanziarie, anche in assenza di unanimità tra i 27 paesi UE, attivando una cooperazione rafforzata che consenta ad un minimo di 9 paesi di fare da apripista e di sperimentare questo strumento.
Infine, è un’indicazione saggia ed equilibrata, perché allo stesso tempo il Parlamento Europeo sollecita i Governi a tentare comunque di giungere all’adozione della tassa su tutto il territorio dell’Unione, proprio per evitare possibili distorsioni nel mercato interno, e di guidare un’iniziativa per la conclusione di un accordo più complessivo a livello mondiale. Così come propone di prevedere aliquote europee abbastanza contenute, che possano minimizzare i possibili rischi di delocalizzazione.
Dare il via libera a questa proposta significa poter liberare circa 55 miliardi di euro l’anno da destinare in parte alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro in Europa e in parte all’aiuto allo sviluppo e alla lotta al cambiamento climatico.
Ora spetta ai Governi europei dimostrare di essere all’altezza delle urgenze e dei compiti da assolvere, e di avere il coraggio di compiere scelte per rilanciare l’economia continentale con strumenti innovativi che, ormai, raccolgono un consenso crescente tra i cittadini, le forze politiche, i movimenti e le associazioni a livello europeo”.
E' quanto dichiara Federica Mogherini, deputata e responsabile globalizzazione PD.
Nei prossimi giorni
a Chicago, con il vertice dei Capi di Stato e di governo, la Nato ha
un'occasione per affrontare questioni non banali, che riguardano il futuro e
l'essenza stessa dell'Alleanza
Atlantica. L'agenda è densa, il contesto internazionale fluido e
complesso come raramente negli ultimi decenni, e la crisi economica impone
scelte che non facciano i conti solo con le priorità strategiche ma anche con
esigenze di bilancio sempre più stringenti.
La difesa ai tempi
della crisi, l'occidente ai tempi della complessità globale - potrebbe essere
questo il sottotitolo del vertice di Chicago.
Sono anni che si
parla dell'evoluzione del quadro delle minacce alla sicurezza internazionale, ed il nuovo Concetto Strategico approvato a Lisbona nel 2010 delineava già uno
scenario molto differenziato di fattori di rischio - dalla pirateria al terrorismo, dalla proliferazione nucleare fino alle frontiere della cyber-security.
Un contesto in cui
la tradizionale dimensione militare della difesa va necessariamente
accompagnata da strumenti diversi, più efficaci per prevenire e contrastare
minacce che tradizionalmente militari non sono: intelligence; cooperazione
civile e sostegno allo sviluppo
economico e all'institution building; promozione dei diritti umani e di sistemi giudiziari
efficienti; misure di disarmo e
non-proliferazione nucleare, messa in sicurezza degli arsenali e creazione di
zone libere da armi di distruzione di massa; rafforzamento degli strumenti diplomatici
e di governance regionale e globale; investimenti per la cyber-security. Il
confine tra operazioni militari e strumenti non militari per garantire la
sicurezza internazionale si fa labile, permeabile, confuso: nel bene (la
rivincita del soft power sull'hard power, del valore del partenariato sullo
scontro di civiltà) e nel male (la confusione di ruoli tra civili e militari
nell'ambito delle missioni internazionali, l'uso non sempre lineare dei già
miseri fondi per la cooperazione).
In più, risulta ormai del tutto evidente che la distinzione tra operazioni
"in area" e "fuori area" è diventata fittizia: se la
minaccia è globale, frammentata, delocalizzata, diventa ridicolo ragionare in
termini di frontiere nazionali, o anche continentali, perché la dimensione
della sicurezza si slega sempre più da quella territoriale, e viaggia sui
binari più indeterminati e difficilmente governabili delle dinamiche globali.
È, in fondo, la categoria stessa di "fuori area" ad essere saltata.
Oggi viviamo in un'unica "area
comune", che ci piaccia o no, ed è con questa realtà che dobbiamo
fare i conti.
Di fronte a questo
scenario, la Nato potrebbe quindi fare dell'appuntamento di Chicago l'occasione
per affrontare alcuni dei nodi che sono rimasti irrisolti dopo il vertice di
Lisbona. Ci proverà? In parte sí, tenendo però bene a mente che la priorità di
questo vertice "elettorale" sarà quella di "andare liscio",
"smooth". È il primo vertice Nato che gli Stati Uniti ospitano da 13
anni a questa parte, e non per caso si tiene nella città di un presidente (e
del suo quartier generale elettorale) che da premio nobel per la pace non può
concedere nessun pretesto ai repubblicani per accusarlo di essere un
"commander in chief" debole.
E' il primo vertice
Nato di Hollande, che deve da
una parte assumere credibilità in un contesto internazionale non facile per un
Presidente non solo francese ma anche socialista, e dall'altra non perderne con
i suoi elettori, che dovranno votare ancora per lui alle legislative di metà
giugno. È il primo vertice Nato dopo il reinsediamento di Putin al Cremlino, e l'assenza di
Mosca a Chicago - con la conseguente impossibilità di tenere il Consiglio
Nato-Russia - è senz'altro dovuta ad una persistente difficoltà di condivisione
del progetto di difesa missilistica, ma non può che essere letta anche come un
messaggio di portata più generale sul carattere e sugli orientamenti del
"nuovo" presidente, da sempre meno incline di Medvedev ad un dialogo
più sereno con gli Stati Uniti (e non sembra estranea a questo messaggio anche
la scelta che sia proprio Medvedev a partecipare al G8 di Camp David
immediatamente prima del vertice di Chicago).
Sarà anche il primo
vertice Nato a fare pienamente i conti con la crisi economica e con i suoi effetti sia sui bilanci degli Stati, sia sulle
opinioni pubbliche - e non è un caso che proprio a Chicago si lancino 20
progetti di "Smart Defense" che, al di là di quanto siano realmente
nuovi e condivisi, passeranno il messaggio della razionalizzazione ed
ottimizzazione delle risorse. Sarà quindi senz'altro un vertice dominato dalle
esigenze interne di molti dei suoi protagonisti, con la conseguente necessità
di posticipare le decisioni più problematiche - come nel caso dell'approvazione
della Defense and Deterrence Posture
Review, che se pure porterà la Nato a fare qualche passo avanti sulla
via della revisione della sua politica nucleare, non ne scioglierà certamente
tutti i nodi.
Sarà però
impossibile, anche in questo anno elettorale, ignorare la portata delle sfide
che questo tempo porta con sé. Non è un caso infatti che proprio quello di
Chicago sia il vertice Nato più affollato, con la partecipazione, accanto ai 28 paesi membri, di partner che hanno
partecipato o partecipano a missioni congiunte, per un totale di 53 Capi di Stato e di governo - un
potenziale passo verso la trasformazione dell'Alleanza Atlantica in vero e
proprio hub di reti di partnership
globali.
E sarà l'ultimo
vertice Nato ad occuparsi della priorità Afghanistan, tenendo insieme rassicurazioni di non abbandono del
paese a se stesso (rafforzate dalla stipula di accordi bilaterali di lungo
periodo, ma minate dal grido di allarme di donne ed attivisti per i diritti
umani in Afghanistan), e voglia di mettere fine il più rapidamente possibile
alla dimensione strettamente militare dell'intervento - cosa che oggi, con il
75% della popolazione sotto il controllo delle forze di sicurezza afghane,
appare non solo possibile ma anche necessaria ed urgente. Sullo sfondo, da una
parte il tema delle relazioni tra un'Alleanza Atlantica forse in crisi di
identità ma piuttosto solida dal punto di vista operativo, ed un'Unione Europea ancora orfana di una
politica estera, di sicurezza e di difesa comune, e distratta da altre urgenze;
dall'altra la spietata consapevolezza che non è più l'Atlantico il centro del
mondo - neanche per gli Alleati Atlantici. Forse il vertice di Chicago non
riuscirà ad affrontare e risolvere tutta la complessità di questi scenari, ma
dovrà almeno porre le basi per affrontarla utilmente in un futuro prossimo,
lasciando aperta la porta a riflessioni e decisioni di più lungo periodo.
Articolo pubblicato sul quotidiano Europa sabato 19 maggio 2012
Alla vigilia del vertice NATO
di Chicago del prossimo 20 e 21 maggio, 45 personalità europee, ex premier e
ministri, politici, militari e diplomatici, raccolti dal network internazionale
ELN (European Leadership Network Multilateral
Nuclear Disarmament and Non-Proliferation - www.europeanleadershipnetwork.org) hanno
sottoscritto e diffuso oggi un appello per sollecitare i leader dell’Alleanza
Atlantica a compiere concreti e coraggiosi passi in avanti in materia di
disarmo e non proliferazione nucleare, approvando una “Defence and Deterrence
Posture Review” (DDPR) che riduca i rischi nucleari in Europa e rafforzi le
capacità di difesa della NATO di fronte alle nuove minacce globali del 21°
secolo.
La NATO si è
impegnata al Vertice di Lisbona nel 2010 a lavorare per creare le condizioni di un
mondo senza armi nucleari e, tuttavia, continua a dispiegare le armi nucleari
tattiche in Europa a distanza di vent’anni dalla fine della Guerra fredda.
Il vertice di
Chicago può rappresentare un’importante occasione per iniziare a cambiare
direzione, ripensando e rilanciando, in uno scenario internazionale
completamente modificato, i principi su cui si basa l’Alleanza.
In particolare, in materia di
disarmo e di controllo degli armamenti, l’appello sollecita: un taglio immediato del 50 per cento delle armi nucleari
non strategiche presenti in Europa; un aumento negoziato dei tempi di allarme e
di decisione di natura politica e militare relativi
alle armi nucleari, limitando così il timore della prospettiva di
uno «short warning» rispetto ad un attacco convenzionale; un cambio della
“declaratory policy” della NATO, affermando che il ruolo fondamentale delle armi nucleari è la
deterrenza dell'uso di armi nucleari da parte di altri.
L’appello sollecita inoltre:
una maggiore attenzione per i progetti di cooperazione regionale in materia di
difesa convenzionale, per assicurare credibilità alla deterrenza collettiva
della NATO nel quadro di una riduzione e di un uso più efficiente delle risorse
disponibili; la previsione di un progressivo ritiro delle armi nucleari
tattiche presenti in Europa entro i prossimi 5 anni nel quadro di scelte
bilanciate e ulteriori riduzioni degli armamenti anche da parte russa; il
rilancio di un dialogo approfondito tra NATO e Federazione Russa in materia di
sicurezza e difesa euro-atlantica.
L’appello europeo è
sottoscritto, tra gli altri, da Javier Solana, Michel Rocard, Massimo D’Alema, Gro Harlem Brundtland, Ana Palacio,
Des Browne, Arturo Parisi, Giorgio La Malfa, Federica
Mogherini, Margherita Boniver, Carlo
Trezza, Giancarlo Aragona, Francesco Calogero e Carlo Schaerf.
“E' un appello che rivolgiamo
ai leader dei paesi della NATO, affinché il vertice di Chicago non sia
un’occasione persa. Oggi si possono fare nuovi, concreti passi in avanti in
materia di disarmo e di non proliferazione nucleare. Sta ai leader riuniti a Chicago
compiere le scelte che consentano di non perdere questa occasione. Il livello
ed il numero di sottoscrittori di questo appello è un segnale importante, che
segue il pronunciamento del Parlamento italiano di pochi giorni fa, quando è
stata approvata all’unanimità una mozione che impegna il Governo Monti proprio
su obiettivi analoghi.
Ora ci auguriamo che questo
appello non cada nel vuoto: ci sono le condizioni per rilanciare il ruolo
globale dell’Alleanza Atlantica, assicurando allo stesso tempo la riduzione dei
rischi nucleari in Europa e l’adozione di misure concrete nella direzione più
generale di un mondo libero da armi nucleari”.
E’ quanto dichiara Federica
Mogherini, deputata, responsabile PD globalizzazione e membro del gruppo
italiano dell'ELN – European Leadership Network for Multilateral Nuclear
Disarmament and Non-Proliferation.
Quì puoi leggere il testo dell'appello dell'ELN in vista del Vertice NATO di Chicago.
“Oggi si celebra la Giornata internazionale contro l'omofobia e
la transfobia promossa dall'Unione Europea per ricordare la rimozione - avvenuta
nel 1990 - dell'omosessualità dalla lista delle malattie mentali nella
classificazione internazionale pubblicata dall'Organizzazione mondiale della
sanità, e per promuovere eventi internazionali di sensibilizzazione e
prevenzione per contrastare ogni fenomeno omofobico.
Si
tratta di una giornata di impegno e di riflessione per la piena affermazione di
un principio basilare, di un diritto umano fondamentale: nessuna
discriminazione legata al proprio orientamento sessuale e alla propria identità
di genere è più tollerabile in nessuna parte del mondo.
L’Europa lo ha scritto a chiare lettere all’art. 21 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, vietando ogni
discriminazione fondata sulle tendenze sessuali.
E tuttavia, recenti sentenze della Corte europea dei
diritti dell’uomo e rapporti del Consiglio d’Europa hanno messo in evidenza
quanto siano ancora diffusi e gravi i casi di discriminazione in materia di
diritti sociali e del lavoro, di universalità non garantita nell’accesso alle
cure mediche e all’istruzione, di problemi nel riconoscimento dell’identità di
genere e della vita familiare.
Si registrano inoltre, anche in Italia e in numero
crescente, episodi di aggressione, di violenza, di bullismo che vedono vittime
lesbiche, gay, bisessuali e transessuali, episodi che purtroppo maturano nel
crescente clima di intolleranza e di odio su cui soffiano in modo
irresponsabile movimenti populisti e xenofobi di destra in molti paesi europei.
Per parte nostra, in Italia è urgente contrastare ogni
forma di violenza e di discriminazione, approvando finalmente anche nel nostro
Paese una legge contro l’omofobia e per il pieno riconoscimento giuridico dei
diritti fondamentali di coppie dello stesso sesso.
Più in generale, serve una
risposta di civiltà e di rispetto della dignità umana, con una reazione corale dell’Europa
e dell’intera comunità internazionale, per giungere alla depenalizzazione
mondiale dell'omosessualità e al pieno riconoscimento di condizioni di libertà
e uguaglianza di fatto e di diritto per ogni persona, nel rispetto della
pluralità di orientamenti sessuali e identità di genere”.
E' quanto dichiara Federica
Mogherini, deputata e responsabile globalizzazione PD.
La mia dichiarazione di voto di oggi in Aula sulla mozione su disarmo e non proliferazione nucleare in vista del vertice NATO di Chicago.
Quì il testo della mozione approvata all'unanimità.