Nei prossimi giorni
a Chicago, con il vertice dei Capi di Stato e di governo, la Nato ha
un'occasione per affrontare questioni non banali, che riguardano il futuro e
l'essenza stessa dell'Alleanza
Atlantica. L'agenda è densa, il contesto internazionale fluido e
complesso come raramente negli ultimi decenni, e la crisi economica impone
scelte che non facciano i conti solo con le priorità strategiche ma anche con
esigenze di bilancio sempre più stringenti.
La difesa ai tempi
della crisi, l'occidente ai tempi della complessità globale - potrebbe essere
questo il sottotitolo del vertice di Chicago.
Sono anni che si
parla dell'evoluzione del quadro delle minacce alla sicurezza internazionale, ed il nuovo Concetto Strategico approvato a Lisbona nel 2010 delineava già uno
scenario molto differenziato di fattori di rischio - dalla pirateria al terrorismo, dalla proliferazione nucleare fino alle frontiere della cyber-security.
Un contesto in cui
la tradizionale dimensione militare della difesa va necessariamente
accompagnata da strumenti diversi, più efficaci per prevenire e contrastare
minacce che tradizionalmente militari non sono: intelligence; cooperazione
civile e sostegno allo sviluppo
economico e all'institution building; promozione dei diritti umani e di sistemi giudiziari
efficienti; misure di disarmo e
non-proliferazione nucleare, messa in sicurezza degli arsenali e creazione di
zone libere da armi di distruzione di massa; rafforzamento degli strumenti diplomatici
e di governance regionale e globale; investimenti per la cyber-security. Il
confine tra operazioni militari e strumenti non militari per garantire la
sicurezza internazionale si fa labile, permeabile, confuso: nel bene (la
rivincita del soft power sull'hard power, del valore del partenariato sullo
scontro di civiltà) e nel male (la confusione di ruoli tra civili e militari
nell'ambito delle missioni internazionali, l'uso non sempre lineare dei già
miseri fondi per la cooperazione).
In più, risulta ormai del tutto evidente che la distinzione tra operazioni
"in area" e "fuori area" è diventata fittizia: se la
minaccia è globale, frammentata, delocalizzata, diventa ridicolo ragionare in
termini di frontiere nazionali, o anche continentali, perché la dimensione
della sicurezza si slega sempre più da quella territoriale, e viaggia sui
binari più indeterminati e difficilmente governabili delle dinamiche globali.
È, in fondo, la categoria stessa di "fuori area" ad essere saltata.
Oggi viviamo in un'unica "area
comune", che ci piaccia o no, ed è con questa realtà che dobbiamo
fare i conti.
Di fronte a questo
scenario, la Nato potrebbe quindi fare dell'appuntamento di Chicago l'occasione
per affrontare alcuni dei nodi che sono rimasti irrisolti dopo il vertice di
Lisbona. Ci proverà? In parte sí, tenendo però bene a mente che la priorità di
questo vertice "elettorale" sarà quella di "andare liscio",
"smooth". È il primo vertice Nato che gli Stati Uniti ospitano da 13
anni a questa parte, e non per caso si tiene nella città di un presidente (e
del suo quartier generale elettorale) che da premio nobel per la pace non può
concedere nessun pretesto ai repubblicani per accusarlo di essere un
"commander in chief" debole.
E' il primo vertice
Nato di Hollande, che deve da
una parte assumere credibilità in un contesto internazionale non facile per un
Presidente non solo francese ma anche socialista, e dall'altra non perderne con
i suoi elettori, che dovranno votare ancora per lui alle legislative di metà
giugno. È il primo vertice Nato dopo il reinsediamento di Putin al Cremlino, e l'assenza di
Mosca a Chicago - con la conseguente impossibilità di tenere il Consiglio
Nato-Russia - è senz'altro dovuta ad una persistente difficoltà di condivisione
del progetto di difesa missilistica, ma non può che essere letta anche come un
messaggio di portata più generale sul carattere e sugli orientamenti del
"nuovo" presidente, da sempre meno incline di Medvedev ad un dialogo
più sereno con gli Stati Uniti (e non sembra estranea a questo messaggio anche
la scelta che sia proprio Medvedev a partecipare al G8 di Camp David
immediatamente prima del vertice di Chicago).
Sarà anche il primo
vertice Nato a fare pienamente i conti con la crisi economica e con i suoi effetti sia sui bilanci degli Stati, sia sulle
opinioni pubbliche - e non è un caso che proprio a Chicago si lancino 20
progetti di "Smart Defense" che, al di là di quanto siano realmente
nuovi e condivisi, passeranno il messaggio della razionalizzazione ed
ottimizzazione delle risorse. Sarà quindi senz'altro un vertice dominato dalle
esigenze interne di molti dei suoi protagonisti, con la conseguente necessità
di posticipare le decisioni più problematiche - come nel caso dell'approvazione
della Defense and Deterrence Posture
Review, che se pure porterà la Nato a fare qualche passo avanti sulla
via della revisione della sua politica nucleare, non ne scioglierà certamente
tutti i nodi.
Sarà però
impossibile, anche in questo anno elettorale, ignorare la portata delle sfide
che questo tempo porta con sé. Non è un caso infatti che proprio quello di
Chicago sia il vertice Nato più affollato, con la partecipazione, accanto ai 28 paesi membri, di partner che hanno
partecipato o partecipano a missioni congiunte, per un totale di 53 Capi di Stato e di governo - un
potenziale passo verso la trasformazione dell'Alleanza Atlantica in vero e
proprio hub di reti di partnership
globali.
E sarà l'ultimo
vertice Nato ad occuparsi della priorità Afghanistan, tenendo insieme rassicurazioni di non abbandono del
paese a se stesso (rafforzate dalla stipula di accordi bilaterali di lungo
periodo, ma minate dal grido di allarme di donne ed attivisti per i diritti
umani in Afghanistan), e voglia di mettere fine il più rapidamente possibile
alla dimensione strettamente militare dell'intervento - cosa che oggi, con il
75% della popolazione sotto il controllo delle forze di sicurezza afghane,
appare non solo possibile ma anche necessaria ed urgente. Sullo sfondo, da una
parte il tema delle relazioni tra un'Alleanza Atlantica forse in crisi di
identità ma piuttosto solida dal punto di vista operativo, ed un'Unione Europea ancora orfana di una
politica estera, di sicurezza e di difesa comune, e distratta da altre urgenze;
dall'altra la spietata consapevolezza che non è più l'Atlantico il centro del
mondo - neanche per gli Alleati Atlantici. Forse il vertice di Chicago non
riuscirà ad affrontare e risolvere tutta la complessità di questi scenari, ma
dovrà almeno porre le basi per affrontarla utilmente in un futuro prossimo,
lasciando aperta la porta a riflessioni e decisioni di più lungo periodo.
Articolo pubblicato sul quotidiano Europa sabato 19 maggio 2012